IL RAPPORTO INAIL 2013
Infortuni, ancora troppe le aziende irregolari

Continuano a diminuire gli incidenti sul lavoro (meno 9% rispetto all'anno precedente) ma l'andamento va messo in relazione con il numero degli occupati e delle ore lavorate (che sono meno). In evidenza due criticità: la riduzione delle denunce di malattie professionali e l'alto numero di datori di lavoro che non rispettano le norme sulla sicurezza.

La presentazione del rapporto annuale INAIL, avvenuta ieri, relativa ai dati sugli infortuni e malattie professionali rappresenta un appuntamento costante di approfondimento statistico sul tema delle condizioni di tutela della salute e sicurezza sul lavoro in Italia.

Dai dati è emerso che le denunce di infortuni sono state 745mila, pari al 9% in meno del 2011, un calo che si è riscontrato anche tra gli infortuni mortali, scesi anch’essi e attestatisi su 790 casi (pari a circa due eventi mortali al giorno, in confronto ai circa quattro, stimati nel 2010). Confermandosi, pertanto, un trend positivo, che da alcuni anni sta facendo registrare significativi segnali di riduzione del numero degli infortuni sul lavoro, il quadro complessivo che emerge quest’anno (i dati sono riferiti al 2012) evidenzia alcuni aspetti sui quali, a prima lettura, si aprono fronti di grande criticità.

Se di certo permane l’attenzione al dover considerare che i dati presentati dall’Inail devono sempre essere rapportati alle ore lavorate e al numero degli addetti occupati (per poter concretamente misurare la reale riduzione degli eventi), dai dati emergono due aspetti di rilievo :  da un lato, un minimo ma evidente calo delle denuncie di malattia professionale (attestato su circa mille denuncie in meno in confronto all’anno precedente); dall’altro, un numero ancora significativamente alto di aziende in regime di irregolarità.

In merito al calo delle denuncie di malattia professionale, se molte potrebbero essere le ragioni che possono aver influito su tale dato, a fronte del quale non si può comunque non esserne, sulle prime, soddisfatti, va detto che le aspettative sul numero delle denunce di malattia professionale, in realtà, erano di tutt’altro segno. Difatti, avendo investito molto da parte dell’Inail, in concerto con le parti sociali, su una informazione capillare dei medici (di base, ma anche ospedalieri) in tema di obblighi legati a loro carico nei riguardi delle denuncie di (presunta) malattia professionale, al fine di una significativa emersione dei casi, l’attesa di un aumento rilevante di denuncie era un obiettivo di efficacia auspicato e quanto mai preventivato. Il dato quindi, in controtendenza, di un calo di denuncie (ricordiamo, infatti, che il dato è riferito alle denuncie e non ai casi riconosciuti e risarciti dall’Istituto che, purtroppo, sono molto meno), porta in chiaro a quanto il problema dell’occultamento delle reali condizioni di salute dei lavoratori sia sempre di più un aspetto da non poter ormai trascurare, preoccupando l’eventuale aumento del fenomeno, in quanto strettamente collegato a situazioni di crisi occupazionale. Temendo, difatti, le conseguenze da parte dei lavoratori di un’eventuale dichiarazione di inidoneità allo svolgimento di determinate prestazioni lavorative, anticamera spesso (specie nelle aziende di più ridotta dimensione) di azioni di licenziamento, è cresciuta negli ultimi anni da parte di quest’ultimi la propensione a non rivelare ai medici sintomi che potrebbero condurre a prevedere limitazioni in campo lavorativo, facendo così crescere una diffusa condizione di malessere che porta a ripercussioni di varia natura. In primo luogo sul sistema sanitario, elevando i costi relativi all’assistenza (stimati in circa 50 miliardi di euro), ma non meno sul livello di una minor produttività, sul piano quantitativo, ma anche qualitativo, abbassando il livello di competitività delle imprese, andando così ad incidere pesantemente sull’economia dell’intero Paese. Perché se gli infortuni sul lavoro, secondo i dati del Rapporto Inail, hanno causato più di 12 milioni di giornate di inabilità, con un costo a carico dell'Inail rapportato ad una media di 80 giorni per infortunio, per le situazioni di malessere e danno non denunciati, pur in assenza di specifici dati, non si può trascurarne la pesante ricaduta, anche solo, in termini di spesa sanitaria e aggravio sociale.

Sul fronte, invece, del livello di irregolarità delle aziende, riscontrato a seguito di accertamenti dell’Inail, che hanno portato a verificare, in tale condizione, una percentuale pari all’87% delle imprese controllate (che ammontano a circa 22.950 nell’ambito delle quali sono stati riscontrati circa 45.000 lavoratori irregolari e 8000 lavoratori “in nero”), immediata sorge la correlazione tra tale quadro di evidenze e i recenti interventi di semplificazione degli obblighi normativi in tema di salute e sicurezza sul lavoro, introdotti nel sistema di prevenzione, regolato dal dlgs.81/08, veicolati mediante il decreto legge n.69, denominato decreto “fare”, emanato il 21 giugno 2013..

In un quadro complessivo che vede un ritardo rilevante nell’applicazione dei provvedimenti legislativi espressamente prevista dalla normativa vigente, la scelta intrapresa dagli estensori del decreto legge, nel promuovere interventi di semplificazione (rivelatisi poi veri e propri interventi di abrogazione di specifici provvedimenti considerati formali e burocratici, anziché di mera necessaria natura documentale), si rileva ancor più non condivisibile, non evidenziandosi alcun fattore a favore, ma di contro, determinando un incertezza nei datori di lavoro sul credere all’importanza di adempiere ai diversi obblighi posti in capo alla loro funzione.

Auspicando in un ridimensionamento complessivo delle modifiche previste alle disposizione del dlgs 81/08 da parte del decreto “fare”, per mano delle commissioni parlamentari, chiamate in questi giorni a lavorare sui testi normativi, in vista delle scadenze dei termini del decreto, il quadro offerto dai dati dell’Inail non può che andare a suffragare una posizione di chiara contrarietà  alle modifiche, ritenendo che i passi avanti che si devono fare in tema di prevenzione (al fine di tendere all’azzeramento del numero dei casi di infortunio e malattia professionale), non passano dal “togliere” per alleggerire, ma passano dal promuovere per gestire, lavorando secondo un modello caro alle politiche europee che vede nel rapporto costante tra istituzioni e parti sociali l’applicazione più adeguata dello stile  partecipativo. Una modalità di lavoro che quest’anno ha dato, sulla base di fatti concreti, significativi risultati nell’ambito dei lavori della Commissione consultiva permanente, incardinata presso il ministero del lavoro, che ha prodotto importanti documenti di regolazione della materia prevenzionistica, a favore dell’applicazione degli adempimenti normativi, mediante un costante lavoro di confronto proficuo, che poggia le sue basi sulla composizione dei membri, secondo un tripartitismo perfetto.

01/01/1970
Cinzia Frascheri - responsabile dipartimento salute e sicurezza Cisl nazionale
Twitter Facebook