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Philippe Daverio spiega a Job la sua percezione della città meneghina, disarmonica, senza un progetto culturale e con musei poco valorizzati. Storico dell'Arte e docente universitario è autore e conduttore in tv di "Passepartout" e "Il capitale". Nato in Francia, vive a Milano.
«Milano non è una bella città. Perché non è curata, è caotica, non ha armonia. E pensare che era bellissima, una delle più belle città d’Italia». A Philippe Daverio la Milano di oggi non piace.
Quando è diventata “brutta”?
Dagli anni ’30 del 900. La bruttezza è frutto di un misto di grettezza e avidità. E’ l’avidità che ha fatto coprire i Navigli, demolire le mura spagnole, sfasciare le periferie. Milano è stata ed è terra di scorrerie per gli avidi, che messi insieme non producono niente di bello.
È una città che fa cultura?
No, pochissima. Ma è tutta l’Italia che in generale fa poca cultura.
Per fare cultura servono più soldi o più idee?
Più idee. La cultura ha una sorgente elitaria, legata a una classe dirigente, intellettuale. Che Milano non ha. Una volta gli artisti passavano da qui, oggi se ne vedono pochi; gli architetti disegnavano opere d’arte, oggi progettano per la speculazione
immobiliare.
Milano è “attrezzata” per competere con le altre città europee?
Assolutamente no. Ma non penso a Parigi, Berlino o Londra. Milano può essere paragonata a Francoforte, Barcellona, Lione, che però hanno fatto piani e investito moltissimo in cultura. Milano no. Milano è nota per i mobili e i vestiti. Ma tutto ciò non genera cultura. Vogliono farcelo credere, ma non è vero.
Ci sono differenze tra la precedente amministrazione comunale e l’attuale?
Non noto grandi cambiamenti. Adesso paghiamo 5 euro per uscire di casa. Oggi la città è più comoda e vivibile per chi ha i soldi. È più classista rispetto a ieri.
La vicenda “Macao” ripropone il problema degli spazi per l’arte.
In maniera sbagliata. Io non capisco perché il Comune dovrebbe aiutare un artista e non un panettiere o un parrucchiere. Il problema non è dare uno spazio a degli artisti, ma cosa s intende fare per valorizzare la città; quale piano c’è per la cultura.
Progetto Grande Brera: cosa dice?
È un progetto importante, che ci trasciniamo da 40 anni. Forse è la volta buona per realizzarlo. Ma bisognerebbe anche riordinare l’intero sistema museale della città. Non basta allargare gli spazi. Se uno vuole vedere un’opera futurista, deve andare in quattro-cinque posti diversi: a Parigi va in uno solo. A Milano il patrimonio è disperso, non si capisce niente. Ma temo che la riorganizzazione sia quasi impossibile, perché nessun padrone delle opere le cederà ad un altro padrone. Anche se sono pubbliche.
Non trova che i musei milanesi siano poco valorizzati?
Se considera che la Pinacoteca di Brera ha poco più di 200mila visitatori all’anno e la falsa casa di Giulietta e Romeo a Verona due milioni, ho detto tutto.
Le piace il Museo del Novecento?
Non particolarmente. È molto provinciale,non è all’altezza delle opere nascoste che ci sono in città, ad esempio, nelle banche. Milano ha tanti musei interessanti. Di Brera abbiamo detto, il Poldi Pezzoli è straordinario, come l’Ambrosiana. Ma la sensazione che hanno tutti è che in città
vi siano pochi musei. In realtà manca un piano complessivo che li valorizzi.
Grandi mostre?
La produzione è fiacchissima. È un problema di soldi, ma ancora più di lavoro, perché per allestire grandi mostre bisogna lavorare molto. Non si comprano al supermercato.
Pietà Rondanini di Michelangelo: si parla di cambiare l’allestimento.
Sarebbe un crimine. L’allestimento della Pietà è un capolavoro, è stato fatto quando la città aveva grinta. E’ vero che va a vederla poca gente, ma l’allestimento non c’entra, è un problema di comunicazione.
Qual è il monumento che le piace di più?
Il Duomo, che però sta crollando. Mancano i contributi economici. Il pubblico si svegli, che poi arrivano anche i privati.