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Si presenta dal vivo il 19 al Rock N Roll e si celebra con un bel disco Ali di Libertà. L’artista veneto prosegue nel rock d’autore con passione ed energia.
È nato anagraficamente sul litorale veneto negli anni 60. Ma artisticamente Massimo Priviero deve tutto a Milano, la città dove si è trasferito negli anni 80 e che gli ha permesso di conquistarsi un posto nella storia della musica nostrana con quel Nessuna resa mai, un album uscito nel 1990 la cui titletrack diventa una sorta di manifesto esistenziale. Pubblicato con successo anche in numerosi paesi europei, si avvaleva della prestigiosa produzione di “Little” Steven Van Zandt, leggendario chitarrista e coproduttore dei grandi album di Bruce Springsteen.
Da allora tanta musica, tanto che questa settimana in occasione dei 25 anni di carriera artistica, esce in vinile una limited edition del nuovo album “Ali di libertà” (distribuzione Self). Il packaging contiene anche il cd, già in distribuzione nei negozi tradizionali, in digital download e su tutte le piattaforme streaming.
Priviero è cantautore rock sanguigno e genuino, unisce a delle liriche spesso venate di autentica poesia di strada, un rock americano che difficilmente riesce credibile ai nostri connazionali. E porta la sua storia in tour da questo mese: il 19 novembre al Rock N Roll Club di Milano, il 21 novembre al Diavolo Rosso di Asti, il 6 dicembre al Teatro Ambra di Albenga (Savona), il 7 dicembre al Teatro Sociale di Bergamo, il 20 dicembre al Sacco&Vanzetti Club di Concordia Sagittaria (Venezia) e il 17 gennaio al Teatro Duse di Besozzo (Varese).
Perché hai intitolato il disco così e cosa rappresenta la libertà per un artista dopo 25 anni di carriera?
Essere un uomo libero ed essere un uomo vero. Questo conta più di ogni altra cosa. Quello che scrivo è quello che sono. La mia idea di libertà possibile mi accompagna da sempre, da prima che iniziassi ad incidere i miei album ormai tanti anni fa. Questa idea, non si è mai perduta ed era giusto che intitolasse un album importante.
Ci racconti il ricordo della collaborazione più memorabile che hai avuto?
Probabilmente resta quella, a distanza di vent’anni, con Little Steven Van Zandt che produsse “Nessuna Resa Mai”. Amore comune per certa musica, amicizia reale, modo simile di stare al mondo, desiderio di darsi fino in fondo sempre. Gli mando una carezza ideale. Ogni tanto ci incrociamo ed è sempre un piacere speciale.
Hai un forte legame con la tua terra d’origine e il tuo dialetto, il veneto?
Il legame è molto forte. Sempre. È la mia terra, è il mio sangue e la mia anima. Vorrei realizzare l’idea di un disco in dialetto e presto o tardi lo farò. Poi guarderò idealmente il cielo cercando mio nonno e mio padre per dir loro “questo è prima di ogni altra cosa per voi”. Il veneto è una lingua meravigliosa che spesso canta da sola senza saperlo neppure. Lo farò, prometto che lo farò.
Le cover dal vivo: cosa ti emoziona di più nel ripescare nel repertorio altrui e cosa ti interessa rifare?
Piazzare ogni tanto una rilettura di un classico. Dylan soprattutto. Ritrovare anche in quel modo i miei primi passi, i miei amori ragazzini, le ragioni per cui tanti anni fa ho iniziato. Fare una specie di viaggio nel tempo e scoprire che certe strade maestre sono rimaste intatte. È un’emozione speciale, che va calibrata nel modo giusto ma che serve ad allacciare un filo rosso mai spezzato.
In alcuni tuoi testi si legge una voglia di riscatto, tipo in “Alzati”. Che rapporto hai con il sociale, le notizie non buone che ci bombardano ogni giorno? Pensi che un cantautore debba fare qualcosa, dare voce, incoraggiare o solo intrattenere?
Spesso scrivo di quel che vedo o ancor di più amo cercare piccole storie che diventano “Storia” vera. Per comprendere ancor più il presente. Un musicista, un cantautore scrive quel che gli detta il suo spirito. Non c’è obbligo alcuno che non sia quello di avere gli occhi aperti. Spesso provo a dar voce a chi voce non ha, questo è quel che sento anche come obbligo verso chi mi segue, chi mi ascolta. E verso me stesso. Ma l’obbligo è verso la propria coscienza e a volte è meglio “intrattenere” in modo intelligente che diventare un furbo e conformista portavoce di una qualche istanza che finisce in baracconate finte. Io non sono là.