ATTUALITÀ
IMMIGRATI

Cittadini (italiani) senza cittadinanza

Per alcuni l'approvazione della legge sullo Ius soli è un'opportunità elettorale, per altri, i diretti interessati, invece, incide direttamente sulla vita quotidiana. Job ha raccolto quattro storie esemplari.

 

Da un sondaggio Demos dello scorso settembre emerge che gli italiani sono “spaccati” esattamente a metà sulla possibilità di riconoscere la cittadinanza ai figli dei cittadini stranieri nati in Italia. Soltanto a luglio un’altra ricerca, registrava che due italiani su tre erano favorevoli alla riforma della legge. Il motivo? Si avvicinano le elezioni e l’immigrazione, di cui si parla con un livello di strumentalizzazione che è inversamente proporzionale alla competenza con cui si affronta il tema, continua a rappresentare uno dei principali terreni di scontro ideologico. Noi pensiamo che una politica lungimirante non dovrebbe diffondere notizie fuorvianti o vere e proprie “bufale” sullo “ius soli”, ostacolando il riconoscimento della cittadinanza a bambini e ragazzi che di straniero hanno soltanto il cognome.

(Maurizio Bove – presidente Anolf Milano)

Ecco le storie di quattro ragazzi italiani di origine straniera a cui l’approvazione o meno della legge sullo Ius soli cambia concretamente la vita

XAVIER Mi chiamo Xavier, ho 24 anni a abito a Como con mia madre, che lavora come collaboratrice domestica. Siamo venuti in Italia 14 fa, dal Salvador. La mia famiglia non aveva particolari problemi economici, ma siamo scappati dal Salvador per paura delle gang criminali. In Italia ho fatto le medie, mi sono diplomato in ragioneria e ora studio Lingua e cultura cinese all’Università dell’Insubria. Sto partendo per la Cina e starò via fino al prossimo agosto. Non ho mai subito insulti razzisti, ma da cristiano dico che l’Italia deve ancora crescere in fatto di tolleranza, soprattutto nei confronti dei musulmani. C’è molta islamofobia. Il fatto di non avere la cittadinanza comporta una serie di problemi burocratici e costituisce un limite per i miei studi. Io sono cresciuto in Italia, mi sento italiano e vorrei che mi fosse riconosciuto il diritto di chiamare casa quella che, in effetti, è la mia casa. E’ doloroso pensare che ci siano persone contrarie alla riforma della legge sulla cittadinanza, che mi neghino un diritto senza neppure conoscermi. A loro direi di informarsi meglio. Non bisogna avere paura. La legge non farà aumentare il numero degli stranieri, non ne farà arrivare altri, ma renderà italiani tanti giovani che nei fatti lo sono già.

OZLEM Sono Ozlem, ho 24 anni, sono rifugiata politica di origine curda. Vivo a Milano e sono arrivata in Italia 18 anni fa con mia madre e quattro fratelli. Siamo scappati dalla Turchia perché apparteniamo ad una etnia che è stata spesso perseguitata. Ho frequentato le scuole qui e adesso studio Scienze Politiche alla Statale. Sette giorni dopo il 18esimo compleanno sono stata assunta come commessa in un negozio di abbigliamento e ancora oggi faccio dei lavoretti. Per la mia famiglia il problema della cittadinanza è venuto dopo. Prima mia madre ha dovuto preoccuparsi di trovare un lavoro e una casa. Essendo passati dai centri di accoglienza, sentivamo il bisogno di una stabilità. Il problema si è posto più tardi. Oggi, per questioni burocratiche e legislative, sono l’unica della famiglia priva di cittadinanza italiana. E adesso è difficile ottenerla. Sulla legge per la cittadinanza c’è un allarmismo esagerato, forse anche perché se ne sta parlando troppo. Molti pensano che la cittadinanza ce la dobbiamo guadagnare. In che modo? Cosa dovrei fare, io straniera, più di un italiano? Conosco la cultura di questo paese e sono impegnata  in attività di servizio alla città più di molti italiani.

MOHAMED Mi chiamo Mohamed, ho 26 anni, sono di origine marocchina, ma ho vissuto a Treviso da quando ne avevo 3. Sono arrivato qui con mia madre per raggiungere mio padre che si era già trasferito in Veneto per lavorare. Mia madre fa l’assistente domiciliare, mio padre lavora in una scuola come personale Ata e ho un fratello che vive a Londra. Adesso mi sono spostato a Milano e studio Giurisprudenza alla Statale. In Italia non ho mai subito insulti razzisti. Anzi, mi è capitato di riceverne all’estero, ma da italiano. Cose del tipo: italiano scansafatiche! La cittadinanza sarebbe un riconoscimento della mia identità, della mia storia. Io sono cresciuto qui, parlo italiano (con accento veneto, ndr.), mi sento italiano. Alla politica dico che non deve avere paura di riconoscere i figli e le figlie d’Italia. Noi siamo l’Italia di oggi e del futuro. Io sono di fede musulmana, ma sono cresciuto con i valori della Costituzione italiana e li rispetto. Le forze politiche xenofobe e populiste cavalcano la paura, in particolare verso l’Islam. Ma la riforma della legge sulla cittadinanza non c’entra nulla con tutto ciò. E’ una legge che riguarda migliaia di bambini, bambine, giovani che studiano nelle scuole italiane. Nessuno a scuola deve sentirsi straniero.

NADEESHA Sono Nadeesha, ho 24 anni, sono nata nello Sri Lanka ma vivo in provincia di Monza da quando avevo 6 anni. Ho frequentato le scuole in Italia e adesso studio Giurisprudenza all’Università di Milano Bicocca. Scrivo di immigrazione e nuova cittadinanza per un blog del Corriere della Sera che si chiama “La città nuova”. Sono venuta qui con la mia famiglia per scappare da una guerra civile trentennale, tra minoranza tamil e maggioranza cingalese, che ha provocato una diaspora di cittadini dello Sri Lanka in diverse parti del mondo. Oggi vivo con mia madre, che fa l’estetista. Penso che in Italia ci sia un po' di razzismo sotterraneo. Io mi sono sentita diversa solo una volta, quando un autista di un autobus mi disse che noi stranieri dovevamo tornarcene a casa nostra. Per me la cittadinanza è importante per avere gli stessi diritti politici e civili dei miei amici, per poter partecipare attivamente alla vita politica e sociale del Paese. La riforma della cittadinanza non deve fare paura, non toglie nessun diritto agli italiani, ma amplia il bacino di chi può usufruire di questi diritti. Stiamo parlando di ragazzi e ragazze che parlano italiano, che sono cresciuti qui e su cui la scuola pubblica investe.

27/10/2017
di Mauro Cereda - mauro.cereda@cisl.it